Si potrebbe progettare un insieme di oggetti che sembrano libri, ma che siano tutti diversi per informazione visiva, tattile, materica, sonora, termica, ma tutti dello stesso formato come i volumi di una enciclopedia, che però contiene tutto il sapere o perlomeno molte informazioni diverse. Questi libretti, piccoli perché devono stare agevolmente nelle mani di un bambino di tre anni, potrebbero essere costruiti con materiali diversi, con rilegature diverse, con colori diversi naturalmente, e su ogni libretto ci sarà un unico titolo uguale per tutti: libro.

Il titolo sarà messo in modo che comunque il libro sia preso in mano risulti dritto. Quindi la copertina avrà il suo titolo e anche capovolgendo il libro si trova un’altra copertina uguale su quella che di solito è detta “la quarta” di copertina. Ne segue che nella progettazione del “messaggio” interno al libro, l’impostazione di questo debba essere simmetrica in modo che comunque venga preso in mano il libro, il messaggio ha un nesso logico. Come certe frasi che si leggono uguali sia cominciando la lettura da destra verso sinistra, sia viceversa. Questi messaggi non dovrebbero essere delle storie letterarie compiute come le favole, perché questo condiziona molto il bambino, in modo ripetitivo e non creativo. Tutti sanno che i bambini amano farsi ripetere la stessa storia tante volte, e ogni volta il bambino se la fissa bene nella memoria, finché da adulto decorerà la sua villa in campagna con i sette nani e biancaneve di cemento colorato. Così si distrugge nel bambino la possibilità di avere un pensiero elastico, pronto a modificarsi secondo l’esperienza e la conoscenza. Bisogna, fin che si è in tempo, abituare l’individuo a pensare, a immaginare, a fantasticare, a essere creativo. Ecco perché questi libretti sono soltanto degli stimoli visivi, tattili, sonori, termici, materici. Essi dovrebbero dare la sensazione che i libri sono degli oggetti fatti così e che hanno dentro delle sorprese molto varie. La cultura è fatta di sorprese, cioè di quello che prima non si sapeva, e bisogna essere pronti a riceverle e non a rifiutarle per paura che crolli il nostro castello che ci siamo costruiti.
[…] Questo è un problema di sperimentazione delle possibilità di comunicazione visiva del materiale editoriale e delle sue tecniche. Normalmente quando si pensa ai libri si pensa a dei testi, di vario genere: letterario, filosofico, storico, saggistico ecc., da stampare sulle pagine. Poco interesse viene portato alla carta e alla rilegatura del libro e al colore dell’inchiostro, a tutti quegli elementi con i quali si realizza il libro come oggetto. Poco interesse viene dedicato ai caratteri da stampa e ancora meno agli spazi bianchi, ai margini, alla numerazione delle pagine, e a tutto il resto. Lo scopo di questa sperimentazione è stato quello di vedere se è possibile usare il materiale col quale si fa un libro (escluso il testo) come linguaggio visivo. Il problema quindi è: si può comunicare visivamente e tattilmente, solo con i mezzi editoriali di produzione di un libro? Ovvero: il libro come oggetto, indipendentemente dalle parole stampate, può comunicare qualcosa?

Bruno Munari, Da cosa nasce cosa

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