Il bilinguismo infantile è un tema molto dibattuto: serve o no? Aiuta il bambino a parlare 2 lingue o è di intralcio?

Nel sito Psicologia Transculturale il tema viene trattato in modo piuttosto completo e rispondendo a queste ed altre domande che attanagliano i genitori. Intanto la prima domanda da porsi è: 

Conveniene o meno favorire il mantenimento o sviluppo della seconda lingua (principalmente quando la lingua madre non coincide con quella parlata dagli autoctoni)?

“A proposito del bilinguismo infantile, vi sono stati fatti in passato studi su popolazioni infantili migranti di seconda generazione, in Francia e Svizzera, che “dimostravano” quanto la padronanza di una seconda lingua fosse un fardello che complicava il processo di apprendimento. In effetti, qualvolta si stabiliva un paragone con il profitto scolastico ottenuto dalla popolazione dei coetanei autoctoni sembrava che il bilinguismo penalizzava pesantemente i bambini. Ciò che tali studi dimenticavano di mettere in evidenza, riguardava la variabile familiare. Cioè l’enorme peso che ha il background familiare, sia socioculturale che di istruzione, vale a dire lo spessore del contesto di provenienza. Nello stesso identico modo in cui un bambino monolingue può essere penalizzato da un ambiente familiare poco stimolante dal punto di vista della conoscenza e dell’informazione e, viceversa aiutato da un contesto piuttosto curioso e aperto, il bilinguismo si sviluppa secondo gli stessi principi.

Ecco perché la psicolinguistica moderna considera il bilinguismo una risorsa cognitiva importante per il bambino più di quanto invece non si pensasse prima. Sopra tutto se viene introdotto in tenera età. Esso contribuisce in maniera decisiva a favorire un rapporto molto più evoluto con la realtà semantica del linguaggio. In effetti, il bilinguismo, non solo stimola un rapporto complesso e arricchente nei confronti delle costrizioni linguistiche grammaticali di una determinata lingua, ma propizia anche padronanza nella gestione delle categorie cognitive con cui il bambino costruisce i suoi rapporti emotivi e relazionali con il mondo reale.

Parlare quindi una seconda lingua o comunque esserne a contatto prima dei 5 anni, da al bambino la possibilità di sviluppare abilità, forme di pensiero e di espressione più sofisticate dei bambini monolingui. Il bambino riesce a capire il senso simbolico delle parole e a ragionare molto più velocemente. Uno degli aspetti su cui insistono i psicolinguisti, per evitare ritardi o confusione nel bambino prima di raggiungere la padronanza della lingua (quindi fino ai 5 anni), riguarda il fatto che in famiglia la stessa figura genitoriale deve fare da modello linguistico nella stessa lingua di riferimento.

In conclusione, i bambini bilingui possiedono più strumenti per risolvere problemi, perché sono più abituati a pensare in una lingua quando ascolta parlare in un’altra, e quindi, riescono a differenziare ciò che è importante da ciò che non lo è.

E’ meglio evitare il bilinguismo precoce?

 Abbiamo verificato l’enorme interesse che stimola il tema del bilinguismo infantile tra i nostri lettori, per cui abbiamo deciso di approfondire, a più riprese, alcuni aspetti inerenti ad esso. Si tratta di un argomento estremamente delicato che richiede da quelli che ne sono a contatto direttamente o indirettamente, conoscenza e non improvvisazione.

Ci avvalleremo dei risultati della ricerca svolta dalla dott.ssa Tatiana Aguayo sugli aspetti psicosociali del bilinguismo in figli di immigrati. Psicologa conoscitrice del tema anche perché ha vissuto in prima persona l’impatto del bilinguismo danese, romeno, spagnolo e italiano, in periodi diversi della sua infanzia e adolescenza.

Purtroppo non è raro trovare ancora servizi educativi in cui vi sia dell’ ignoranza sul tema, come di quelle insegnanti di alcune scuole materne ed elementari italiane che consigliano ai genitori immigrati di parlare in casa la lingua di adozione per far si che il bambino acquisisca la padronanza della nuova lingua. Il tutto nasce dalla mancanza di un’adeguata conoscenza del fenomeno bilinguismo.

Non sono molto lontani i tempi in cui in occidente i soggetti bilingui erano ritenuti bizzarri ed eccentrici. Tutto ciò che veniva associato al termine “straniero” evocava un mondo sospetto e immorale. L’opinione comune considerava le persone bilingui individui sradicati, ambigui, emarginati e privi di principi. In più, la conoscenza di due lingue era considerata una tara, quasi un segno di inabilità!!! Si riteneva che riempire il cervello del bambino con due lingue non poteva che ritardare il suo sviluppo mentale: avrebbe appreso più lentamente e la sua capacità di ragionamento sarebbe stata deformata da una confusione permanente fra i due sistemi,  la sua padronanza di ogni lingua sarebbe stata superficiale a confronto di una persona monolingue. Tale credenza ha origine dal postulato che le nostre capacità cerebrali siano limitate: chi impara due lingue le assimila male, inoltre la seconda si appropria dello spazio prezioso e limitato riservato alla prima. Di conseguenza la lingua madre e la conoscenza in generale non si svilupperebbero normalmente.

Diversi studi e ricerche sembrano suggerire che più utilizziamo il nostro cervello più ne sviluppiamo le capacità. In ogni caso, una cosa appare certa, l’uomo è ancora ben lungi dall’impiegare tutte le potenzialità del suo cervello, quindi è aberrante sostenere che quest’ultimo rischia di essere saturato dalla presenza di una seconda lingua.

Ciò che si è potuto verificare in numerosi studi sul bilinguismo precoce è:

– vi può essere un piccolo ritardo del linguaggio; dopo tutto il  bambino bilingue molto piccolo deve imparare il doppio delle parole del bambino monolingue. Si tratta di un ritardo provvisorio, infatti raggiunge la stessa padronanza verbale dei suoi compagni monolingui verso l’età di 4 o 5 anni.

– fra i bambini esposti a due lingue fin dalla nascita si osserva frequentemente un altro fenomeno che preoccupa i genitori (a torto, perché è altrettanto passeggero), quello della confusione tra le lingue.

– il bambino sceglie i termini indifferentemente  nelle due lingue.

Per gli studiosi, l’uso tardivo della parola e le libere associazioni di termini attinti dalle due lingue fanno parte di uno sviluppo normale e non dovrebbe preoccupare i genitori. La separazione a livello conscio e inconscio delle due lingue in due sistemi indipendenti avviene progressivamente tra la fine del secondo e del terzo anno”.

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