Ho avuto il piacere di partecipare l’8 novembre al Convegno “Come prevenire le difficoltà di apprendimento degli alunni con DSA e non, valorizzando attitudini e talenti”, organizzato dall’associazione Il Laribinto Progetti Dislessia Onlus nell’ambito della XII edizione di EXPO Training 2023, a Milano.
Mi è stato chiesto di parlare di dislessia e di adolescenti a partire dall’intuizione che ho seguito nella scrittura del mio saggio del 2020, riguardante l’associazione tra cervello dislessico e nativi digitali.
Tantissimi i consensi, o perlomeno l’interesse mediatico, ma quello che viene riportato online è solo un breve stralcio del mio intervento∗ che, a sua volta, è tratto da quello che ho raccontato nel mio libro La dislessia. Dalla scuola al lavoro nel terzo millennio (Il Pensiero Scientifico, 2020).
Naturalmente sono nate anche le prime polemiche e alcune critiche al mio pensiero.
Intanto voglio dire che la mia ricerca nel campo delle neuroscienze è ormai ventennale e le mie pubblicazioni ne sono la testimonianza. Le mie intuizioni, poi, hanno sempre trovato conferma in studi di tanti neuroscienziati di fama mondiale, ma poco conosciuti in Italia.
La letteratura in lingua inglese è ampia in tal senso. Qui cito Maryanne Wolf, che nel suo ultimo libro tradotto in italiano, Lettore vieni a casa. Il cervello che legge in un mondo digitale, descrive il profondo mutamento del cervello che legge, legato alla plasticità cerebrale.
Partendo dai miei studi sulla letteratura scientifica americana sul pensiero dislessico e sulla funzionalità cerebrale del cervello dislessico (Le aquile sono nate per volare. Il genio creativo nei bambini dislessici, 2004 La meridiana, 2015 Edizioni Erickson), il passaggio che ho fatto è compararla con quello dei nativi digitali.
Gli studi che cito nel mio testo confermano che l’adattamento alla nuova tecnologia ha creato nuove connessioni cerebrali tanto che è stata riscontrata una maggiore attivazione dell’emisfero destro in quelli che definiamo i nativi digitali, andando così a manifestare molte affinità con il funzionamento del cervello dei dislessici.
Infatti il pensiero dislessico è prevalentemente visuo-spaziale e, quindi, ha delle caratteristiche tali che i neuroscienziati americani negli ultimi cinquant’anni hanno potuto evidenziare delle “anomalie” o comunque delle differenze nel modo in cui si attivano i due emisferi, con una prevalenza di quello destro.
Tutto ciò mi porta ad affermare che se i dislessici ancora non trovano spazio nella scuola italiana riguardo alle loro modalità di apprendimento è perché si ignorano queste ricerche, così come si ignora che essere nativi digitali non significa essere per forza al passo con la tecnologia ed essere in grado di utilizzarla, ma essere abituati a gestire le informazioni in modo del tutto peculiare.
E se dalla tecnologia non si torna più indietro, soprattutto per gli innegabili benefici, allora dovremo cominciare a pensare che alcune agenzie, come la scuola, non hanno ancora recepito il rinnovamento, non adeguandosi a sviluppare una modalità di apprendimento più olistico e multimediale, oltre che multisensoriale.
La sfida dei dislessici in questo millennio è quella di indicarci un nuovo modo di fare scuola!
∗L’articolo a cui faccio riferimento è quello riportato dall’ANSA e da Adnkronos: