“Se pratico il lusso, non posso predicare il risparmio. E’ una questione di buona leadership”. Un imperativo categorico che fa da biglietto da visita. Su di esso c’è il nome di un uomo battezzato Ingvar Kamprad, cresciuto nella fattoria Elmtaryd, all’interno del villaggio di Agunard (Svezia). Mettete insieme le iniziali dei quattro nomi ed ecco venir fuori la sua creatura: IKEA.
Per il magazine Veckans Affarer è l’uomo più ricco del mondo. Forbes lo piazza al quarto posto (al primo c’è Bill Gates). Tuttavia la primavera del 2005, con la perdita di valuta del dollaro americano ha consegnato a Kamprad la testa indiscussa della classifica dei plurimiliardari planetari stimando la sua fortuna a 28 miliardi di dollari americani (anche se per il provider tedesco T-Online i miliardi sono 53).


In ogni caso il suo vero record è quello di miliardario più frugale. E’ lui, infatti, l’uomo che meglio impersona il concetto di low cost style con un rigore e una coerenza da far spavento. Negli spostamenti: vola in economy (“perché buttare i soldi in business, per un bicchiere di champagne?”), disdegna grandi hotel e le automobili di lusso (ha una Volvo di 15 anni ma va in ufficio in metropolitana); nel mangiare (fa la spesa quando il mercato sotto casa è in chiusura, aborre i ristoranti noti e pranza spesso al self service del magazzino) e nel risparmio (niente barbiere: ai capelli ci pensa la moglie; niente sprechi, ai dipendenti raccomanda di scrivere su entrambi i lati di ogni foglio di carta, prima di buttarlo via; niente extra: quando dal frigo bar di una camera d’albergo prende una bevanda, la rimpiazza immediatamente con una comprata al supermercato).
Qualcuno dice sia tirchio, altri insinuano che questo atteggiamento sia parte integrante di una strategia di comunicazione. In ogni caso la sua parsimonia è ormai leggendaria.
L’attività imprenditoriale di Ingvar comincia a cinque anni. Sempre con il legno. Già a quell’età ha le idee chiare su ingrosso e dettaglio.

Si reca da Agunnaryd a Malmo in bicicletta, compra pacchi di fiammiferi e li rivende sciolti ai suoi vicini. Poco dopo va oltre: scopre che può acquistare gli stessi fiammiferi ad un prezzo molto più basso presso un fornitore di Stoccolma. In questo modo ottiene due vantaggi: il primo è il maggior profitto, il secondo (legato al primo ma anche alla filosofia che ancora persegue oggi) è quello di potersi permettere di abbassare, anche se leggermente, i prezzi.

A nove pensa bene di eliminare i fornitori: pesca lui stesso salmoni per recapitarli a domicilio. Da fiammiferi e salmoni si espande vendendo decorazioni per alberi di natale, semi da giardino e successivamente penne a sfera e matite. Si ritrova in piena adolescenza a creare una società di vendita per corrispondenza di quegli stessi articoli che vengono poi consegnati dal lattaio. Quando arriva ai 17 anni suo padre, per ripagarlo dei buoni risultati negli studi, gli regala del denaro. Kamprad usa quei soldi per costruire e fare crescere il suo stabilimento che chiama IKEA (acronimo in omaggio a se stesso e alle sue origini: la fattoria di famiglia dove è cresciuto e il piccolo villaggio nella provincia di Småland). E dieci anni dopo apre il suo primo vero mobilificio.

Parte dal basso: una sedia, una poltrona e un tavolino. Li fa costruire in una falegnameria vicino a casa e li mette in vendita a un prezzo del 30% più basso del mercato. In breve si allarga, compra a due soldi delle baracche abbandonate, cambia le finestre e apre il primo punto vendita IKEA, dove si può toccare e provare. I clienti vengono accolti con un caffé e un panino: “Nessuno compra mobili con la pancia vuota”.

A ventisette anni, età in cui solitamente i talenti si spengono definitivamente, Ingvar si accende di intuizioni geniali. Un paio di queste lo porteranno molto lontano. Ricicla gli scarti di lavorazione in nuovi mobili e chiede ai suoi designer di non progettare pezzi interi ma solo componenti: occupando meno spazio, riducono sia le spese di trasporto che quelle di magazzino. Chiede così ai suoi clienti di montarsi i mobili: “Tu fai la tua parte, noi facciamo la nostra”. E insieme risparmiano. Battezza lui stesso ogni pezzo: nomi maschili per le cucine, femminili per le camere da letto. Si dice che in questo abbia avuto un ruolo la sua dislessia, dal momento che Kamprad aveva difficoltà a ricordare numeri di codici.

La concorrenza rimane di sasso. E’ spiazzata da questo nuovo marketing e soprattutto è schiacciata dal suo successo. Si allea quindi per fare fuori Kamprad e arriva a ricattare i fornitori: “O lui o noi”. Lui non batte ciglio e si fa consegnare la merce di notte.
Ma quando resta inevaso un ordine di 40 mila sedie si guarda intorno e le fa costruire a Varsavia. In Polonia scopre, oltre alla delocalizzazione, anche la vodka. E’ il peccato con cui convive. L’altro riguarda il suo passato: i trascorsi nazisti giovanili infettatigli dalla nonna (Hitler aveva annesso i Sudeti alla Germania). La vicenda viene a galla negli anni Novanta. Per IKEA si annuncia un immenso disastro d’immagine. Ma Ingvar sa che il mondo funziona come il suo magazzino. Così l’abitudine delle lettere di scuse ai clienti (per un prodotto malriuscito) e dipendenti (per una decisione sbagliata) lo porta a scriverne una destinata al target ebraico: “E’ stato il più grande errore della mia vita. Perdonatemi”. E pace fatta fu. In ogni caso IKEA è uno dei pochi rivenditori ad avere un deposito all’interno dello stato di Israele.

Oggi Mr. Ikea ha tre figli, che tiene tutti sulla corda. Sono in azienda, ma a sovranità limitata. Si diceva che li avrebbe diseredati, “solo” perché avessero il gusto di creare qualcosa d’altro. L’ultima decisione sa quasi di torneo: lascerà l’intero patrimonio al figlio che meglio avrà gestito Habitat, la catena di mobili nata nel 1992. 
Attualmente Ingvar Kamprad ha un patrimonio valutato decine di miliardi, sistemato tra Olanda e Lussemburgo. Possiede di tutto, addirittura una linea ferroviaria Svezia – Germania. Vive in Svizzera, sul lago di Losanna. Per questioni fiscali? Diciamo non per amore delle montagne.
Voleva fare soldi, voleva farli con il legno. Desideri che aveva nel sangue: suo nonno si era ucciso perché non riusciva a ripagare il prestito con cui aveva comprato la fattoria; suo padre, che la ereditò, era guardaboschi.
Oggi il catalogo Ikea (160 milioni di copie in 24 lingue) è il testo più letto al mondo. Dopo la Bibbia. Non si può avere tutto.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I link nei commenti potrebbero essere liberi dal nofollow.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.