Sto leggendo il libro Dislessia nei giovani adulti. Strumenti compensativi e strategie per il successo, pubblicato pochi mesi fa dalla Erickson.

Il libro comprende una serie di contributi sul tema della dislessia in età adulta, tratti dal Convegno AID 2010 a Reggio Emilia.

Essendo il primo libro italiano a trattare tale argomento ritengo che sia un punto di riferimento utile per tutti i professionisti che si occupano di dislessia (fatta eccezione per i docenti), basandosi soprattuto sulla clinica.

Fra i tanti articoli c’è però una vera chicca, quello intitolato: Neurodiversità e dislessia: strategie di compensazione o approcci diversi? di Ross Cooper, dislessico, professore universitario, che sottolinea il proprio “orgoglio dislessico”, ponendo il tema della neurodiversità e della dislessia non più come deficit, ma come differenza.

Il deficit nella sua concezione diventa un artefatto sociale, dove l’importanza risiede nel fatto che il dislessico ha degli stili cognitivi diversi da chi non è dislessico. La dislessia viene vissuta da Cooper come un tratto fondamentale della sua identità di individuo. In modo significativo afferma che: “non siamo resi disabili dalla nostra dislessia in sé, ma dalle aspettative del mondo in cui viviamo… Io non sono una persona che ha la dislessia. Io sono dislessico. Se non fossi dislessico, non sarei io”.
Cooper crede che il dislessico pensi in maniera visiva ed elabori le informazoni in modo olistico e non sequenziale. In merito a ciò il mio libro de Le Aquile aveva già ampiamente spiegato cosa significasse; questo imporrebbe  al sistema educativo la valorizzazione dei punti di forza del pensiero olistico. Come spiega Cooper è una rivoluzione copernicana, ma necessaria se vogliamo che la dislessia non sia più considerata come un deficit.

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