Tre parole, tre modi diversi per parlare dello stesso argomento: la dislessia. Lo spiega bene il Panel di Revisione della Consensus Conference Italiana (PRCC) nel 2011 auspicava e spiegava l’uso dei tre termini che designano la dislessia (approccio Polinomico-Polisemico).

Tre concettualizzazioni che non sono in antitesi ma esprimono aspetti di una stessa realtà a seconda dell’obiettivo, espresse dai termini Disturbo, Disabilità, Caratteristica: ognuna di esse offre, infatti, lo stimolo per un’azione diversa e specifica.

– Il termine disabilità riferito alle difficoltà di apprendimento ha uno scopo etico di protezione sociale; è utile quando viene utilizzato per rivendicare un diritto a Pari Opportunità nella istruzione; quella della disabilità è, infatti, una relazione sociale, non una condizione soggettiva della persona.

– Il termine disturbo con riferimento alle difficoltà di apprendimento compare nei sistemi di classificazione dei Disturbi Mentali DSM e ICD; questi manuali contengono i criteri condivisi dalla comunità scientifica per identificare i Disturbi*.

Dislessia, Disortografia e Discalculia possono essere definite caratteristiche dell’individuo, fondate su una base neurobiologica; il termine caratteristica dovrebbe essere utilizzato dal clinico e dall’insegnante in ognuna delle possibili azioni (descrizione del funzionamento nelle diverse aree e organizzazione del piano di aiuti) che favoriscono lo sviluppo delle potenzialità individuali e, con esso, la qualità della vita. L’uso del termine caratteristica può favorire nell’individuo, nella sua famiglia e nella comunità una rappresentazione non stigmatizzante del funzionamento delle persone con difficoltà di apprendimento; il termine caratteristica indirizza, inoltre, verso un approccio pedagogico che valorizza le differenze individuali.

*I manuali DSM e ICD dichiarano di prescindere da concezioni teoriche sulla natura dei Disturbi identificati (approccio ateoretico); lo scopo di questi sistemi di classificazione è, infatti, di facilitare la comunicazione scientifica, permettere studi sulla frequenza dei Disturbi e una organizzazione coerente dei Servizi, rendere i risultati della ricerca confrontabili. Il linguaggio della classificazione medica (psichiatrica) può essere utilizzato per mettere in comunicazione persone che non hanno la stessa cultura, come fra medico e paziente, tra professionisti e “laici”, cioè persone che non hanno la stessa cultura. La comunicazione si completa sempre in chi la riceve: chi la riceve, a seconda della sua cultura, infatti, la interpreta. I DSA sono rubricati nel manuale dei Disturbi Mentali: questa appartenenza, se non spiegata, può risultare, per i laici, assai stigmatizzante (Ruggerini, 2012).

Se vuoi saperne di più leggi il mio libro: Dislessia. Dalla scuola al lavoro nel terzo millennio.

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